“Il progetto posto in consultazione non costituisce una valida risposta agli obiettivi iniziali”. I municipi dei centri urbani – Bellinzona, Chiasso, Mendrisio, Lugano e Locarno – fanno letteralmente a pezzi il progetto di riforma ‘Ticino 2020’, con cui il Consiglio di Stato si è posto l’obiettivo di cambiare la riorganizzazione dei compiti e di rivedere i flussi finanziari tra Cantone e Comuni. Tre pagine fitte, inviate al governo il 15 novembre e firmate dai rispettivi sindaci e segretari, nelle quali non si usano mezze parole.
“Da una manovra – da tutti condivisa – finanziariamente neutra per i cittadini, si è passai a una finanziariamente neutra per cittadini e Cantone, con decisione unilaterale e senza il coinvolgimento dei Comuni” scrivono Mario Branda, Bruno Arrigoni, Samuele Cavadini, Michele Foletti e Alain Scherrer. I municipi dei centri urbani, quindi, ritengono che “questo sia stato un primo procedere non conforme all’impostazione iniziale, peraltro avallata anche dal Gran Consiglio, che ha influito negativamente sul progetto e che assolutamente non viene condiviso”. Insomma, “terminato il lungo processo di elaborazione del progetto ‘Ticino 2020’, nato nel 2015 e protrattosi sino a oggi, si può affermare che gli obiettivi originariamente definiti non sono stati raggiunti”. Punto.
‘Non c’è una vera riorganizzazione funzionale’
Certo, “si riconosce che è stata fatta chiarezza su alcuni flussi tra Cantone e Comuni rendendoli più trasparenti e scevri dagli attuali meccanismi di perequazione orizzontale” concedono i cinque municipi dei centri urbani. Tuttavia, “non vi è stata una vera riorganizzazione funzionale con il riconoscimento di compiti e competenze a favore di una semplificazione e di una concreta applicazione del principio di sussidiarietà, per recuperare compiti e competenze di spettanza comunale e per rafforzare il ruolo di prossimità del Comune verso la popolazione nel rilanciare la democrazia a livello locale”.
Di più, perché i cinque sindaci ne hanno anche per gli customary qualitativi e l’essenzialità dei servizi offerti per garantire costi contenuti per prestazioni di base paragonabili ritengono che “l’esercizio non sia riuscito”. Un esempio per tutti, “pratico e lampante”: le strutture per le persone anziane. “Non vi è alcun incentivo concreto e tangibile a compiere sforzi per mettere in rete le strutture, in modo da ottimizzare la gestione e renderla maggiormente efficace ed efficiente, rendendo vani gli sforzi di chi ha operato in questo senso e disincentivando chi ancora non l’ha fatto a intraprendere questa through”. In più, “come se non bastasse, si è riusciti a creare l’ennesima sovrastruttura introducendo un ulteriore livello decisionale”.
Finito? Neanche per thought. “La determinazione dell’incidenza del riordino dei flussi mostra una certa tendenza a favorire lo Stato”, denunciano Branda, Arrigoni, Cavadini, Foletti e Scherrer. Alcuni flussi, infatti, “mostrano una spesa cantonale futura o con un aumento in prospettiva, rispetto all’anno di riferimento. Questo permette al Cantone di avere un maggior margine nella neutralizzazione dei flussi”.
Gli sgravi fiscali all’orizzonte preoccupano per l’aggravio sulle finanze comunali
E si sbarca agili sulla stretta attualità quando gli Esecutivi comunali osservano che “il progetto non evidenzia altre politiche promosse dal Consiglio di Stato che hanno un indubbio peso sulle finanze comunali: per esempio il nuovo messaggio sugli sgravi fiscali a favore delle persone fisiche o considerare l’iniziativa per i Comuni forti come un aggravio alle finanze cantonali”. Con buona tempo del compromesso che, in seno alla Commissione parlamentare della gestione, si starebbe delineando per la riforma tributaria. Inoltre, “pure la determinazione dell’ammontare dell’imposta immobiliare comunale mostra un flusso sicuramente non aggiornato con i dati 2019 (oggi vi è un ritardo del Cantone nel determinare i valori di stima dei nuovi edifici). Più in generale, “non vi è trasparenza dei dati che risultano dai vari ambiti e che sono oggetto di consultazione: alcune voci sono impossibili da verificare e non è possibile fare delle proiezioni su come evolverà la situazione concretamente per i singoli Comuni”.
Dopo questa sequenza di critiche, si arriva all’ultima, ma di peso pari se non superiore alle altre, sul sentitissimo tema dell’autonomia comunale e alla contestazione su come viene trattato: solo con “termini declamatori”. Le Città auspicano che “il Cantone possa definire in tempi ragionevolmente corti in quali compiti i Comuni potranno esercitare una loro autonomia (decisionale sui compiti o sulla funzione di produzione di determinati servizi) e con quali risorse a disposizione. Infatti, per poter esercitare una certa autonomia a favore dello sviluppo sostenibile del Paese, i Comuni devono anche avere delle risorse a disposizione”.